lunedì 13 ottobre 2025

Chi merita il titolo di "Dottore"?

 

La parola "Dottore" ha un peso. Evoca immagini di saggezza, autorità e, soprattutto, fiducia. Eppure, dietro i camici bianchi e le lauree incorniciate si cela una domanda più profonda con cui le società si confrontano da secoli: chi detiene veramente questo titolo?

Il termine "Dottore" deriva dal latino "docere", che significa "insegnare". Nell'Europa medievale, non era un titolo di medicina, ma di cultura. I doctores erano studiosi; professori di teologia, diritto e filosofia in antiche università come Bologna, Parigi e Oxford. Essere chiamati "Dottore" significava essere riconosciuti come maestri, qualcuno autorizzato a tramandare la conoscenza.

Fu solo nel tardo Medioevo, quando la medicina fu sistematizzata secondo il modello universitario, che i medici iniziarono a guadagnarsi il titolo. I chirurghi, curiosamente, arrivarono più tardi. Nell'Europa antica, i chirurghi erano artigiani, barbieri-chirurghi che imparavano tramite apprendistato piuttosto che tramite una formazione scolastica formale. Tagliavano e cucivano, ma non filosofeggiavano. Nel corso del tempo, con l'unificazione della medicina sotto la scienza, la chirurgia acquisì legittimità accademica e i medici, quei dottori eruditi, li assorbirono tra i propri ranghi.

Quindi, in origine, il medico non era colui che curava il corpo, ma colui che istruiva la mente.

Facciamo un salto in avanti fino a oggi, e il titolo di "Dottore" si è moltiplicato. Medici (MD, MBChB, MBBS), dottori in filosofia (PhD), dottori in farmacia (PharmD) e persino dottori onorari (i cui titoli rimangono discutibili e controversi) coesistono tutti sotto lo stesso tetto linguistico. Ognuno, a modo suo, porta con sé un pezzo di quell'eredità medievale: la competenza sancita dallo studio.

Ma non tutti i "dottori" sono uguali agli occhi del pubblico. Nella maggior parte delle culture, l'assunto di base è che un medico sia un medico; una persona che diagnostica, prescrive e guarisce. Questa aspettativa è sia culturale che emotiva; è radicata nella nostra dipendenza dalla competenza medica per la sopravvivenza.

Chi merita il titolo?

Ma qui sta l'ironia: non tutti i medici praticano la medicina. Alcuni lasciano la clinica per dedicarsi alla gestione, alla politica o alla consulenza. Sono forse meno "dottori" per aver abbandonato il bisturi o il ricettario? Allo stesso modo, non tutti i farmacisti si limitano ai flaconi di pillole, poiché molti contribuiscono alla politica, alla salute pubblica e alla ricerca sui farmaci.

Il titolo di "Dottore" è sia una credenziale che una prestazione. Indica competenza, certo, ma anche responsabilità sociale. Indossarlo significa ergersi a custode della conoscenza. In questo senso, la questione non è solo chi può definirsi dottore, ma chi è all'altezza di ciò che il titolo implica.

Forse il vero problema è l'inflazione semantica. Con la democratizzazione dell'istruzione nelle società, i titoli si moltiplicano. Ciò che un tempo era raro ora rischia di diventare routine. Eppure la venerazione persiste. "Dottore" porta ancora con sé l'aura della maestria. Quindi la battaglia per la sua titolarità diventa una battaglia per il significato stesso.

Il medico medievale insegnava la verità. Quello moderno cura la carne. Il farmacista, il ricercatore, l'educatore condividono tutti frammenti di quella vocazione originaria.

Forse il titolo di "Dottore" non appartiene a nessuno, appartiene all'ideale che rappresenta: la ricerca della conoscenza al servizio degli altri.

Quando il titolo si separa da quello scopo, diventa solo un suono; un'eco di un apprendimento a lungo dimenticato.

Il titolo di "Dottore" non dovrebbe essere una corona. Dovrebbe essere un voto.

giovedì 9 ottobre 2025

La trappola nascosta dello zucchero

 

La verità sullo zucchero: ciò che gli studenti di medicina imparano e che la maggior parte delle persone non sa.

Il professore entrò in aula, prese una bustina di zucchero dal tavolo e disse:

"Questo... è sia il carburante preferito del tuo corpo che il suo peggior nemico".

Tutti risero. Ma alla fine della lezione, nessuno  rideva più.

Lo zucchero non è solo una questione di calorie: è una questione di chimica, ormoni, dipendenza e stile di vita. E quello che abbiamo imparato a lezione, la maggior parte delle persone al di fuori del campo medico non lo sente mai.

Lo zucchero sembra innocente: dopotutto, ci dà energia. Il glucosio alimenta il nostro cervello e i nostri muscoli. Ma il problema inizia quando ne consumiamo più di quanto il nostro corpo possa gestire.

L'insulina del nostro corpo è come un insegnante severo: gestisce i livelli di glucosio e mantiene tutto in equilibrio. Ma quando lo zucchero arriva costantemente – attraverso bibite gassate, dolci e zuccheri "nascosti" negli alimenti trasformati – l'insulina continua a lavorare a pieno ritmo. Alla fine, le cellule smettono di ascoltarla.

Questa è la resistenza all'insulina, il primo passo verso il diabete di tipo 2.

La maggior parte delle persone pensa che il diabete sia dovuto solo a "troppi zuccheri". Ma invece è una reazione a catena che coinvolge ormoni, cellule adipose e persino il cervello. Lo zucchero influenza il funzionamento degli ormoni della fame (grelina e leptina), il che significa che più si mangia, più si desidera.

Lo zucchero può attivare le stesse aree cerebrali delle droghe che creano dipendenza come la cocaina. Sembra drammatico, ma è vero. Ogni volta che si mangia zucchero, il cervello rilascia dopamina, la sostanza chimica del "benessere". Col tempo, il cervello sviluppa tolleranza. Hai bisogno di più zucchero per ottenere lo stesso piacere.

Qualche paziente dice: "Dottore, non mangio nemmeno dolci, ma i miei livelli di zucchero sono alti!"

Alla fine si scopre che nella sua dieta si trovano i veri colpevoli: i cereali mattutini, lo yogurt alla frutta "sano", il succo di frutta in bottiglia e il ketchup.

La maggior parte delle persone non si rende conto di quanti alimenti contengano zuccheri nascosti. Ad esempio:

1 cucchiaio di ketchup = 1 cucchiaino di zucchero

1 lattina di soda = 9-10 cucchiaini

1 vasetto di yogurt aromatizzato = 6-7 cucchiaini

Anche il "pane integrale" può contenere zuccheri aggiunti

Nel leggere le etichette, tutto ciò che termina in "-osio" (come fruttosio, saccarosio, destrosio) è zucchero travestito.

Nulla è puramente buono o cattivo. Lo zucchero non è veleno. Il tuo corpo ha bisogno di glucosio per sopravvivere. Il problema è la dose.

L'Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda che solo il 5-10% delle calorie giornaliere provenga da zuccheri aggiunti. Per un adulto medio, questo equivale a circa 25 grammi, ovvero 6 cucchiaini, al giorno.

Eppure una persona media ne consuma tre volte tanto senza rendersene conto. 

Lo zucchero non è cattivo, ma l'ignoranza sì.

Il vero pericolo non sta nel dessert occasionale, ma nelle dosi giornaliere che non notiamo nemmeno: quel "poco" che si somma.

Quindi la prossima volta che ti concedi uno spuntino zuccherato, ricorda: non stai solo nutrendo le tue papille gustative, stai allenando i tuoi ormoni, il tuo cervello e le tue abitudini future.

Lo zucchero può essere dolce, ma la conoscenza è più dolce.

 

lunedì 6 ottobre 2025

Lo screening e la sua utilità

 

Si chiama screening (scrining) l'esame di un certo tipo che si fa ad una popolazione apparentemente sana. Il termine deriva dall'inglese e significa "vegliare", "analizzare", il cui scopo è infatti quello di selezionare quei casi che presentano un'alta probabilità di sviluppare una malattia in modo tale da attuare la terapia precoce adatta per poterla bloccare.

Si attuano così  strategie con esami semplici che mettano in luce sia sintomi precoci di una patologia che è già presente ma non ancora emersa, sia i fattori di rischio per una specifica affezione. 

Ad esempio, i sistemi sanitari, reclutano un campione di persone che si ritiene a rischio, sulla base di linee guide prestabilite, e la successiva esecuzione di un test diagnostico mirato, per esempio il "Pap-test"  per il carcinoma (tumore) del collo dell'utero, oppure la "mammografia" per il cancro mammario, il sangue occulto nelle feci (che non tutte le Regioni lo attuano  anche se ha un costo ridicolo ma …) per il cancro al colon. 

Il discorso si può estendere ad alla diagnosi precoce di altre malattie tumorali, ma per una questione di costi si preferiscono (ironia facile) "i banchi a rotelle", o come macchine per la lettura dei tamponi covid e relativi tamponi costati milioni di euro e mai utilizzati... oltre ad altri sperperi assurdi. 

Mi viene in mente uno screening che dovrebbe essere effettuato, ovvero si può prevedere l'ereditarietà di un cancro, con il test genetico per i componenti di una famiglia con soggetto/i ammalati di cancro. 

Questo test prevede se un soggetto può ammalarsi di cancro, sappiamo i costi di gestione di un malato di cancro, ebbene, nessuno se ne preoccupa, non sono interessati. I costi sono elevati perché dovrebbero assumere giovani laureati in medicina, biologi, ecc e si ridurrebbero per gli amministratori gli extra (nero)-profitti, si intuisce bene il problema…. 

A chi può interessare un malato di cancro  se non soltanto ai famigliari del malcapitato (qui l'ironia sarebbe fuori luogo, ma è impossibile evitarla). 

 Evidentemente non lo capisco e mi adeguo.



domenica 5 ottobre 2025

I modi di fare prevenzione

 
Ci sono tre modi di fare prevenzione: primaria, secondaria e genetica
Questi sono, nel complesso, le strategie previste per la salvaguardia della salute.

La prevenzione primaria, riguarda tutto ciò che cerca di minimizzare l'esposizione dell'uomo agli agenti riconosciuti o sospettati di essere nocivi per la sua salute. 
Ad esempio, astenersi dal fumo, visto il ruolo preponderante del tabacco nel carcinoma polmonare, è il provvedimento più efficace. 
Si tratta di una pura e semplice rinuncia a non fumare, ossia rigettare le sigarette. 
Si dice che un medico, nato a Carpi nel 1633, grazie al suo "De Morbis Artificum Diatriba", cominciò a prendere forma, la medicina del lavoro come scienza e disciplina. 

Quel testo il cui titolo era "Discorsi sulle malattie degli artigiani", costituì i primo trattato organico sulle patologie professionali, analizzando le condizioni di lavoro e i relativi disturbi per 50 differenti mestieri. Da quel lavoro, emerse la necessità di sviluppare una specifica branca medica capace di occuparsi della prevenzione primaria.

Prevenzione secondaria
 
Corrisponde alla diagnosi precoce. Ovvero identificare una malattia nelle prime primissime fasi di sviluppo, grazie all'esecuzione di un piano di controlli abbastanza mirati. 
Come ad esempio, il Pap-test o la mammografia che rappresentano eccellenti forme di prevenzione secondaria.
 
La Prevenzione genetica
 
Questa tipologia è sicuramente il fronte più suggestivo e delicato nella lotta alle malattie e significa individuare le persone a rischio prima che sviluppano le malattie. 
Esaminare il loro patrimonio genetico e individuare i geni che possono provocare la malattia è  l'obiettivo della genetica predittiva, ovvero ricercare i geni che prevedono la predisposizione ad una malattia, ad ammalarsi o talvolta a sviluppare alcune caratteristiche organiche. 
Predittivo non significa che c'è un "calendario biologico" che ci dice il giorno, il mese, l'anno in cui una persona si ammalerà, ma sicuramente ci informa sul grado di rischio a cui si è soggetti prima del sorgere della malattia.

giovedì 2 ottobre 2025

La brutta abitudine di mangiare in fretta

 

Mangiare in fretta può essere un problema per diversi aspetti della salute per cui è meglio prendersi il proprio tempo durante i pasti. Ecco una breve disamina.
Quando mangi troppo velocemente ingoi più aria e  può causare gonfiore, eruttazione e flatulenza. Mastichi meno motivo per cui il cibo arriva allo stomaco in pezzi troppo grandi, costringendolo a un lavoro extra per scomporlo. Questo può portare a indigestione, pesantezza, acidità di stomaco e reflusso gastroesofageo. Lo stomaco si riempie troppo in fretta, causando disagio e a volte crampi.

Il cervello impiega circa 15-20 minuti dall'inizio del pasto per ricevere dal sistema gastrointestinale i segnali di sazietà (principalmente tramite ormoni come la colecistochinina e la leptina). 

Se mangi molto velocemente, ingerisci molte più calorie prima che il cervello possa capire che sei pieno. Di conseguenza, è molto facile superare il proprio fabbisogno calorico e mangiare più del necessario, favorendo l'aumento di peso nel lungo termine.

Masticare bene è il primo, fondamentale passo della digestione. Una masticazione frettolosa riduce l'assorbimento dei nutrienti. Il cibo non è scomposto adeguatamente, quindi l'intestino fa più fatica ad assorbire vitamine, minerali e altri nutrienti essenziali. Diminuisce il godimento del cibo poiché non assapori veramente il cibo, perdendo gran parte del piacere sensoriale del mangiare.

Alcuni studi collegano l'abitudine di mangiare velocemente a un rischio più alto di sviluppare sindrome metabolica (pressione alta, glicemia alta, colesterolo alto e grasso addominale) che aumentano il rischio di malattie cardiache, ictus e diabete. Le rapide impennate di zucchero nel sangue dovute a pasti frettolosi possono, nel tempo, stressare il meccanismo dell'insulina.
Altre conseguenze meno Tangibili ma Importanti riguardano stress, cattiva relazione con il cibo. Il pasto diventa un semplice "rifornimento" di carburante, perdendo il suo valore sociale, culturale e di piacere.
 In definitiva, mangiare in fretta è un'abitudine dannosa per la digestione, il controllo del peso e la salute generale. Prendersi il proprio tempo per mangiare è un investimento semplice ma potentissimo per il proprio benessere.

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